CONVENTO
     
Home
 
Il Convento
del Vivaio
 
Il Progetto di Restauro
 
I Laboratori di Restauro
 
Archivio Opere
 
News
 
Normative
 
Newsletter
 
Sponsor
 

IL COMPLESSO DEL VIVAIO: NOTE STORICHE




Il viaggiatore che dal casello autostradale di Incisa imbocca la statale per Figline e quindi, ad appena un chilometro, la strada a destra dopo la Villa Campori, è accolto da un imponente porticato in pietra serena della fine del Cinquecento, che cinge il prospetto della Chiesa dei Santi Cosma e Damiano, detta comunemente Chiesa del Vivaio, con annesso il convento degli Osservanti francescani.

In questo luogo, probabilmente già alla fine del Duecento, esisteva un oratorio dedicata alla Madonna e un monastero di monache che assistevano i viandanti e i pellegrini, del quale si ha notizia tra il 1309 e il 1387 e quindi, nuovamente, nel 1451, in occasione di una visita pastorale. Già al tempo doveva inoltre essere presente, come ricorrente negli insediamenti monastici, una peschiera, dalla quale deriva il toponimo di Vivaio.
Nel 1510 l'antica chiesa passò in possesso degli Osservanti che, confermando l'antica vocazione del luogo e in ossequio alle consuetudini francescane, stabilirono un ospizio nei locali del vecchio monastero.

Il 6 gennaio 1516, durante la sosta a Incisa di Papa Leone X che da Roma tornava a Firenze, i francescani ' sostenuti dalla popolazione del luogo ' chiesero il permesso di costruire un nuovo convento ed una chiesa: il pontefice concesse loro la facoltà suggerendo, in onore del congiunto Cosimo de' Medici, che essi la dedicassero ai santi Cosma e Damiano.
Pochi giorni dopo, con atto del 14 gennaio 1516, la famiglia Castellani (di Firenze ma dal Quattrocento insediata nella zona con case e vaste proprietà terriere) donava il terreno necessario e la famiglia Cambini si rendeva disponibile per finanziare l'impresa: il lunedì di Pasqua del 1516 fu piantata una croce nel luogo dove doveva sorgere il complesso mentre, parallelamente, venne concessa un'indulgenza plenaria (poi confermata dall'altro papa Medici, Clemente VII, nel 1524), a chi avesse visitato il santuario.
Mentre i lavori procedevano alacremente Girolamo del Bianco accrebbe il possesso donando ai frati il bosco e gli orti circostanti. Il 28 gennaio del 1538 (non ancora conclusi i lavori) la chiesa venne così consacrata dal vescovo francescano fra' Bonaventura di Dalmazia.

L'attenzione della famiglia Medici, il rapido succedersi delle donazioni, il concorso della popolazione nel sostenere l'impresa, sono da spiegare in relazione alla grande vitalità goduta dal movimento degli Osservanti proprio in questo periodo, dagli anni Ottanta del Quattrocento fino ai primi anni Venti del successivo, culminata con la proclamazione, nel 1517 (cioè, si badi bene, l'anno successivo alla costruzione del Vivaio) della Regolare Osservanza a Ordine autonomo. A questo proposito è da ricordare come a questa data i francescani si presentassero organizzati in due grandi famiglie: i Conventuali (il ramo che in antico si era costituito in comunità regolari con inevitabili privilegi) e i frati de observantia, ufficialmente nati nel 1368 dall'esperienza eremitica di Paolo Trinci da Foligno, che rifiutavano il rilassamento dell'Ordine e propugnavano norme di vita eremitica, di penitenza e di contemplazione, scegliendo di vivere lontani dai centri abitati. Al momento dei fatti che stiamo indagando, questa famiglia conosceva uno dei momenti di massima diffusione, tanto che, pur essendo già presente in questa zona il convento di San Giovanni Battista a Montecarlo (a due chilometri circa da San Giovanni Valdarno), oltre al Vivaio, appena due anni dopo, nel 1519, si sarebbe fondato quello di San Francesco a Pontassieve. Al fervore di questo periodo, sarebbe poi seguito un lungo periodo di stasi (che comunque vedremo ininfluente nello sviluppo del Vivaio), per l'avvio nel 1525 di una nuova famiglia poi nota con il nome di Cappuccini, a loro volta animata dalla volontà di un ritorno alla Regola, visto l'inevitabile rilassamento che aveva colpito anche la prima Osservanza.

Nel caso del Vivaio vedremo comunque come questa crisi appaia ininfluente, mentre è importante osservare come il complesso si andasse edificando in piena sintonia con il linguaggio che l'architettura osservantina toscana aveva assunto a questa data: relativamente distante dal centro abitato, sorto su un preesistente oratorio (in questo caso in ossequio all'insegnamento di San Francesco quale 'restauratore di chiese'), preceduto da un porticato, grande ma con un che di modesto nelle forme architettoniche assunte, fornito di foresteria ma non di aula capitolare.

Alla sua conclusione la chiesa (sulla quale concentreremo la nostra attenzione) si presentava a navata unica coperta da capriate, nella struttura d'insieme non molto dissimile all'attuale, non fosse per il setto del coro di dimensioni più modeste rispetto a quelle odierne e per l'assenza delle due cappelle laterali. Il loggiato della facciata si presentava limitato alle tre sole arcate centrali e alla sua sinistra ancora si doveva conservare la preesistente chiesetta di Santa Maria del Vivaio.

Tuttavia i lavori erano ben lontani dal potersi considerare conclusi. Nel 1540 il marchese Simone Capponi faceva ristrutturare l'antico oratorio della Madonna, decorandolo con affreschi ora perduti e trasformandolo nella prima cappella a sinistra della chiesa.
Per simmetria, nel 1584, si eresse per volere di Tommaso Tassi la cappella sul lato opposto, intitolata al Crocifisso.

Questi interventi determinarono l'espansione della facciata che, nel 1592 e a spese del benefattore Matteo Romanelli, venne dotata dell'imponente porticato di accoglienza per i pellegrini, con grandi arcate scandite da colonne tuscaniche in pietra serena.

Nel frattempo, nell'interno, era stato eretto nel 1588 il primo altare a sinistra a spese di Ercole Braccini e di sua moglie Fiammetta Giuliani, dedicato alla Concezione e destinato a diventare prototipo per gli ulteriori tre altari che sarebbero stati messi in opera nel secolo successivo. Anche durante il Seicento, infatti, la chiesa non sembra conoscere soste nei lavori per adornarla grazie a donativi dei fedeli: la sistemazione dell'altare intitolato al Nome di Gesù è ad esempio del 1636, in stretta relazione alla fondazione da parte di Urbano VIII della compagnia omonima. Nel 1655 venne costruito l'altare di Sant'Antonio e subito dopo quello dei santi Cosma e Damiano. Anche le cappelle laterali vennero dotate di altari, il primo a spese di Lucrezia Tassi per accogliere la croce lignea cinquecentesca già presente in loco, quello della cappella della Madonna nel 1677 grazie ai denari messi a disposizione da Pietro Ridi, finalizzato tra l'altro ad adornare il luogo con un dipinto che accoglieva il rilievo con l'immagine della Vergine del Vivaio, a cui la cappella era dedicata.

Ma è durante la prima metà del Settecento che la chiesa (e parallelamente il convento) conosce le trasformazioni più importanti ed è aggiornato secondo il nuovo gusto dipendente da modelli tardo-barocchi, su impulso prima di padre Giovan Battista da Pelago, guardiano tra il 1717 ed il 1720, quindi di Ambrogio da Bibbiena, che curò i lavori succedutisi tra il 1721 ed il 1740.
Si tratta di un intervento unitario di grande consistenza preceduto, nel 1707, dalla costruzione di un grande organo con la sua cantoria di legno intagliato e dorato, posto sopra il portale d'ingresso. A partire dal 1720 inizia l'intervento di ristrutturazione complessiva, diretto dall'architetto fiorentino Giovannozzo Giovannozzi e sostenuto da vari benefattori, primi fra tutti il granduca Cosimo III e i monaci di Vallombrosa.
L'originaria orditura lignea a vista della navata fu sostituita da una volta in muratura ornata da decorazioni pittoriche di Sigismondo Betti, le finestre furono arricchite da stucchi e intervallate da una serie di tele con santi francescani dipinti da Giovan Andrea Brunori.

Nel 1722, essendo oramai padre guardiano Ambrogio da Bibbiena, la zona presbiteriale fu completamente trasformata, con l'ingrandimento dell'arco trionfale, la costruzione della volta e della sovrastante copertura e le decorazioni a stucco del coro che andò ad accogliere il dipinto dell'Immacolata Concezione. Nell'occasione, inoltre, si restaurarono gli stalli cinquecenteschi aggiungendovi i postergali.
In una seconda fase, tra il 1735 e il 1740, furono aggiunti i gradini e i cibori marmorei agli altari laterali, arredato il setto del presbiterio, ricostruito l'altare maggiore in scagliola (e preparato ad accogliere l'urna reliquiario di Sant'Alessandro), aggiunta la balaustrata in pietra e due sedili con postergali alle pareti, anch'essi in scagliola. Anche il convento conobbe notevoli migliorie, tra le quali è da ricordare, nel refettorio dove gli affreschi cinquecenteschi si erano irrimediabilmente rovinati, la realizzazione del Cenacolo e della Comunione degli Apostoli.
Nel 1807, a seguito della costruzione intorno al convento di abitazioni e botteghe, il vescovo di Fiesole Ranieri Mancini volle istituire in parrocchia una parte del convento per salvarlo dalle soppressioni che di lì a poco sarebbero sopraggiunte.
Nonostante l'assunzione di tale titolo, nulla poterono i frati a fronte delle soppressioni napoleoniche e, il 13 ottobre 1810, dovettero lasciare il convento riprendendone tuttavia possesso pochi anni dopo, il 30 maggio 1815, a seguito della restaurazione del Governo granducale.

Il ritorno dei frati fu accolto con grande esultanza dal Popolo di Incisa che, una volta di più, concorse con donativi a ricostruire il tesoro di arredi sacri dispersi nella soppressione. Singoli benefattori, poi, finanziarono nuovi lavori al convento che venne in buona parte rinnovato.
Al 1864 sono documentati una serie di importanti lavori di restauro nella chiesa, ad interessare, tra l'altro, le decorazioni in stucco, gli arredi e i dipinti della volta e delle pareti.
Il convento fu di nuovo colpito dalla soppressione decretata dallo Stato italiano il 14 gennaio 1867 e ceduto l'anno dopo al Comune di Incisa. Tuttavia, proprio grazie all'appoggio del Sindaco di Incisa e nonostante le disposizioni di scioglimento delle famiglie Regolari, i frati non abbandonarono mai il luogo, giungendo ad ottenerlo in affitto dal demanio. E ancora i frati riuscirono sempre a tornare sul posto anche a seguito delle requisizioni del 1879 e del 1905. Finalmente, nel 1927, l'ordine stipulò con il Comune l'atto di acquisto dell'immobile.

Nonostante tali traversie anche in questi anni non si era mai abbandonata la cura del luogo, tanto che tra il 1920 e il 1924 si era tornati a decorare gli altari di Sant'Antonio e dell'Immacolata (in quest'occasione intitolato al Sacro Cuore), dipinte le volte del presbiterio e del coro, affrescate in stile neomedioevale (secondo un gusto ben attestato al tempo) le due cappelle laterali.

Dal 1897 al 1910 il convento fu sede del collegio de La Verna che preparava i missionari da inviare verso le missioni popolari, ma fu anche luogo di incontro per i religiosi che rientravano da varie parti del mondo: da queste presenze il toponimo del luogo sembrò assumere nuovo significato, e si iniziò ad identificare il Vivaio con la scuola dei religiosi.

Nel 1983, oramai esiguo il numero dei frati, fu decisa la chiusura del convento: la chiesa, la sacrestia e parte del chiostro passarono di proprietà della diocesi di Fiesole, mentre il resto del complesso è stato concesso in comodato al movimento dei Focolarini di Loppiano che vi ha aperto una scuola sacerdotale internazionale, in sintonia con la storia dei decenni precedenti.


Claudio Paolini
Ispettore della Soprintendenza ai Beni Storico Artistici di Firenze




Visualizzazione ingrandita della mappa

UNI EN ISO
9001:2000
 
  info@palazzospinelli.net
Credit
Legal Disclaimer Admin Privacy Policy © Copyright